ERO FORESTIERO

 

Ospitalità, parola dall’eco strana, familiare e lontana allo stesso tempo. L’amico, ospite per una sera, da noi per una pizza. L’ospitalità nelle case della cerchia dei conoscenti. In questo mondo dove l'autosufficienza è perno della vita, dove l’aiuto altrui si paga col denaro, il bisogno di ospitalità, di vera ospitalità, sembra in apparenza non essere più necessario. Se ti si ferma la macchina chiami il soccorso con il tuo telefonino, pagando con l’assicurazione "tutto assistito-tutto garantito" anche il soggiorno eventualmente necessario in un albergo vicino. Tu paghi, gli altri si fanno pagare. Non importa che faccia tu abbia, importa la validità della tua carta di credito.

Mi torna in mente un viaggio fatto 15 anni fa in Turchia con i miei genitori. Al camper dei nostri amici, che avevamo lasciato andare avanti da soli, si ruppe l’assale anteriore. Un contadino turco passando con il suo carretto, vide questa famiglia straniera in difficoltà, con tre bambini, e andò a chiamare il meccanico del luogo. Questi arrivò con qualcosa che assomigliava a un carro-attrezzi e portò il camper fino in paese, nella sua officina. Era ormai sera, il lavoro di riparazione poteva cominciare solo il giorno dopo. Il giorno successivo passammo noi, con la nostra roulotte al traino, e attraversando il paese riconoscemmo il camper fermo davanti all’officina. Il nostro amico ci raccontò come il meccanico avesse insistito ad averli ospiti tutti in casa sua, in attesa del termine della riparazione, e infatti avevano cenato la sera precedente e pranzato quel giorno con la famiglia turca. Avevano preparato per loro i piatti migliori. Nel tardo pomeriggio il camper era pronto, il meccanico aveva chiesto per la riparazione una cifra irrisoria e ancora insisteva per averli ospiti un’ultima sera. Questa storia non è stata romanzata qui per l’occasione, anche se ha sapore d’altri tempi. Penso che chiunque si trovi a passare in territori dove la civiltà non ha ancora allontanato l’uomo dall’uomo ha potuto osservare che la pratica dell’ospitalità, oltre a essere sostenuta dalla religione, è strumento per permettere il viaggio, l'incontro, e aiutare l’altro, che a sua volta ti aiuterà, quando sarai tu in viaggio, forestiero. E’ una catena di solidarietà che si tramanda nel tempo per rispondere alle naturali necessità dell’uomo.

L’ospite è sacro... per non venire poi a scoprire che è santo, come ci ricorda S. Paolo nella lettera agli Ebrei (13,1-2): "Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo". La mente subito si collega al brano di Matteo (25, 38) "Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato...?". E il Signore risponde che non bisogna conoscere e riconoscere la persona, perché lui è in qualsiasi dei nostri fratelli. Ci penserà Lui a rivelarsi, come ha fatto con i discepoli di Emmaus. Solo dopo che questi lo hanno ospitato, chiedendogli di fermarsi da loro, Gesù con il gesto dello spezzare il pane si fa riconoscere.
Ed è riconoscente il Signore con chi lo ospita: "Poi il Signore apparve a lui alle Quercie di Mamre". (Gen 18, 1). Così comincia il racconto del Signore travestito da pellegrino, accolto da Abramo nella sua tenda perché mangiasse e si riposasse. "Il Signore riprese: Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". L’ospitalità è ricompensata e Sara qualche capitolo più avanti potrà esclamare: "Motivo di lieto riso mi ha dato Dio.." (Gen 21, 6).
Anche la vedova di Zarepta (1Re 17, 1-16) viene ricompensata per avere dato tutto quello che le restava da mangiare ad Elia. E Raab, la meretrice, viene perdonata per avere dato ospitalità agli esploratori di Giosué (Gs 2 sgg).
Il Prologo del Vangelo di Giovanni ci ricorda un’ospitalità tutta particolare: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto, A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio".

 
 
 
 
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Pagina creata il 12.12.1998 da Monica D'Atti e Franco Cinti