Beato chi trova
in Te la sua forza – recita il salmo 83 – e decide nel suo cuore il santo viaggio: è il pellegrinaggio
a Gerusalemme, pratica fondamentale per la religiosità del pio israelita, esperienza condivisa diverse volte
da Gesù, peregrinatio major della spiritualità cristiana.
Si badi: è il viaggio – non solo la meta – ad essere santo; non esclusivamente perché il cammino
santifica il pellegrino, ma perché è la terra che si percorre ad essere santa. Per l’ebreo è
la terra della Promessa; per il cristiano la patria del Signore, per il musulmano suolo sacro legato al ricordo
dei patriarchi, dei profeti (tra cui Gesù) e dello stesso Mohammed. Se quindi in ogni pellegrinaggio il
contatto con il territorio – la strada, il creato, le vestigia della storia… - costituisce un elemento determinante
dell’esperienza del cammino, in Palestina ciò è ancor più vero. Purtroppo in molte occasioni,
all’espressione pellegrinaggio in Terra Santa sarebbe più coerente sostituire quella di pellegrinaggio
ai Luoghi Santi: gli itinerari “classici”, infatti, costretti in limiti angusti di tempo, propongono per lo
più la visita dei santuari, lasciando sullo sfondo l’attenzione alla “terra”, cioè al territorio.
È anche difficile, d’altra parte, vivere una regione percorrendola in autobus…
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Il nostro pellegrinaggio ad sanctum Sepulchrum ci ha consentito,
al contrario, di fare una ricca esperienza della terra dove Gesù è vissuto: esperienza dell’ambiente,
il quale, nonostante il millenario intervento dell’uomo, conserva ancora per molti versi un aspetto simile a quello
che si intuisce fare da sfondo ai racconti della Bibbia; esperienza della storia: perché ci sono un prima e un dopo della vicenda di Cristo, che hanno lasciato sul terreno tracce eloquenti
di sé, e che aiutano a comprendere l’avvenimento di Gesù; esperienza della gente, che mette in contatto
con volti, voci e atmosfere che richiamano il Vangelo. Significativi sono stati lo scambio con i Cristiani, “pietre
vive” della Chiesa e discendenti della prima comunità credente; la frequentazione degli Ebrei, continuatori
della religione che Gesù ha professato e alla quale
siamo ampiamente debitori; l’incontro con l’Islam, le cui usanze sono profondamente intrecciate con quelle delle
altre comunità.
Contatti sempre cordiali ed interessanti,
dai quali sono emerse la ricchezza di umanità dei popoli che abitano la
Palestina, la grandezza del loro passato e la drammaticità del loro presente.
In questo contesto, anche i santuari acquistano
un rilievo del tutto particolare, quasi una “quarta dimensione”. Andare
al Tabor a piedi, con la silhouette di questo singolare “panettone” che si fa sempre più imponente, fa meglio
comprendere la sua identità “naturale” di luogo sacro. Arrivare a Gerusalemme dopo una faticosa giornata
di salita e dopo giornate passate quasi nel deserto fa apprezzare l’esclamazione gioiosa e stupefatta del salmista:
ora stanno i nostri piedi alle tue porte! (Sal
191).
Riconoscere
lungo il cammino la pianta di senapa, con i suoi minuscoli semi, gli alberi di fico e d’olivo, i campi sassosi
costellati di cardi… conferisce uno spessore singolare alle letture evangeliche proposte ad ogni sosta e momento
di celebrazione. Camminare con la consapevolezza delle lacerazioni culturali e politiche del territorio che si
attraversa induce una pensosità intensa, che aiuta a comprendere la situazione .- anch’essa problematica
- in cui Gesù si muove, parla e compie i gesti che i vari santuari ricordano.
Il santo viaggio a Gerusalemme
e Betlemme è stato per tutti noi l’occasione di una profonda immersione nella storicità della vicenda
di Gesù, così importante per una fede - quella cristiana - che si fonda sulla narrazione di qualcosa
che è davvero accaduto in un luogo e in un tempo precisi. Non di commemorazione, bensì di memoriale,
si è trattato: la terra è stata per noi quasi un “sacramento”, perché ha reso presente colui
che veniva raccontato, sia conferendo speciale risonanza alla Scrittura e alla Liturgia, sia suscitando in ciascuno
un personale cammino interiore.
Al termine di tale preziosa esperienza,
in sé non trasferibile ad altri contesti, credo sia cresciuta in tutti i confratelli la consapevolezza della
più autentica natura di ogni pellegrinaggio, che è sempre rivolto all’incontro con Colui che si è
fatto ospite e pellegrino in mezzo a noi.
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