Giuseppe S. - Gioie e dolori
(…)
Assieme a noi oggi c’è
La tappa di oggi è segnata sulla guida come difficile. Ci alziamo presto a recitare le lodi nella cappella
del convento. Ci sono almeno trenta suore nelle loro vesti nere. Qualcosa mi ricorda le suore di Leòn. Allora
però era sera e il tono tirava verso il cupo. Qui c’è un giorno nuovo che comincia, ancora tutto
da riempire di cose belle. Le lodi corrono via in fretta, le voci cristalline delle suore formano nella cappella
un’atmosfera di religiosità intensa e sincera. Noi pellegrini assistiamo dalle ultime panche. Mi sento un
po’ un intruso. Chissà da quanti anni questa liturgia si rinnova sempre uguale. Il quotidiano si fa preghiera,
diventa la cosa più bella che può diventare. Una vita offerta, fatta dei soliti piccoli gesti non
certo eroici in sé, ma che potrebbero rendere eroica una vita. Anche questa vita in convento, sempre assieme
nello stesso posto, a volte potrebbe richiedere qualcosa di eroico.
La strada che stiamo facendo scivola morbida sulle colline e spesso percorre la linea di crinale. Da certi punti
la si vede per lungo tratto, sinuosa come un serpente. E un serpente vero lo abbiamo incontrato l’altro giorno,
e poi le quaglie che abbiamo fatto alzare in volo, una daina, i fagiani, i segni dei cinghiali, le spine dell’istrice,
lunghe e misteriose, che Maria sta raccogliendo con impegno. E’ casa loro; noi passiamo via, loro ci stanno. Andiamo
su e giù per le colline, con l’impressione a volte di girare attorno. Diciamo il rosario intanto che c’è
quiete. Da ieri Maria ha cominciato a leggere le preghiere di don Tonino Bello. Sono parole che suonano dure. Eppure
parlano semplicemente della vita, di quello che capita davvero e non si dice per pudore o per ipocrisia. Le parole
di don Tonino rivelano una compassione immensa verso le miserie degli uomini. Scuotono i ritmi un po’ intorpiditi
del rosario. Ma così la vita irrompe nel rito, qualunque essa sia, per amarla comunque e farle posto nella
nostra.
Intanto continuiamo a camminare in alto sulla vallata ariosa. Giù in basso a sinistra vediamo il nastro
trafficato della Cassia. Procediamo paralleli, ma qui siamo in un altro mondo. C’è un alberello solitario
in cima a un rilievo. Di fianco c’è una croce. Sembra lontanissimo. Alla fine lo raggiungiamo. Ce ne allontaniamo
ma dopo mezz’ora è ancora lì che incombe.
(…)
Fa caldo e il sole picchia duro.
Non c’è nemmeno una pianta. Colline spoglie color paglia a perdita d’occhio fino all’orizzonte. Sullo sfondo
ha cominciato a farsi vedere l’Amiata. Almeno una montagna vera. Incrociamo un fantino che sta cavalcando a pelo
un cavallo, forse si sta preparando per il palio. Arriviamo finalmente alle quattro case di Quinciano. Nella prima
casa una signora offre acqua a tutti. Ritira le borracce e va in casa a riempirle. Poi si stanca e in casa entriamo
direttamente noi. Dice che di pellegrini ormai ne vede passare parecchi. Offrire loro l’acqua, dice, è un
lavoraccio. E’ una bella notizia. Ci rilassiamo e facciamo la pausa del pranzo. Ripartiamo di malavoglia sotto
il sole a picco. Mancano solo sei chilometri, ma si prospettano duri. Camminiamo a lungo su una stradina di campagna
a fianco della ferrovia. L’erba rimanda il calore e l’afa. C’è un alveare imprevisto che getta scompiglio.
Paolo viene punto e Alberto deve correre per risalire il gruppo sgranato per cercare uno stick contro le punture.
Si manifesta anche qualche malessere. Insomma le notizie si rincorrono senza controllo. Quelli dietro non arrivano
più e noi davanti aspettiamo fermi sotto il sole e cominciamo a preoccuparci. Intanto anche Maria ci mette
del suo. Sul sentiero tra i rovi infila il piede in una buca e grida di dolore. Per fortuna gli scarponcini alti
hanno evitato la lussazione della caviglia ma il dolore è forte e la paura ancor di più. Finalmente
arrivano anche quelli che si erano fermati. Ci portano notizie rassicuranti. I problemi sono superati e riprendiamo
tutti con calma. Ponte d’Arbia è un paese fermo sotto il sole, come certi paesi dei film western. Si sentono
solo le cicale, che fanno un gran chiasso sui tigli ancora profumati. Ritroviamo la Cassia, giusto all’altezza
del ponte sull’Arbia, verde di acqua lenta e melmosa ed arriviamo finalmente al Centro Cresti. La sistemazione
è più che spartana. Qualcuno va in pensione e ci invita in camera a fare la doccia. Maria è
tra quelli che ne approfittano. Gli altri si arrangiano. Lo spazio per dormire è ridotto a due locali. Poi
ci sono i servizi e la cucina.
E’ stata una giornata dura, soprattutto per il caldo. Ma adesso che siamo arrivati è tutto dimenticato.
Davanti alla casa c’è un ampio ritaglio di prato. I panni stesi al sole sono l’offerta al cielo della nostra
fatica di oggi, lavata e rigenerata. Maria va a fare la spesa con il furgone. Deve fare da mangiare questa sera.
E’ tornato Luciano, con la macchina piena di cocomeri. E’ passato a trovarci anche Pierluigi Ronzani. Siamo tutti
informati che sta facendo un pellegrinaggio solitario da Venezia a Gerusalemme. E’ appena rientrato da Istambul,
dopo 2400 chilometri di cammino. Riprenderà da lì a ferragosto, per unirsi in Israele ai confratelli
del pellegrinaggio di settembre. Lo accogliamo con calore e affetto. Gli facciamo tante domande, ma lui non è
tipo di molti discorsi. Assisto alla sorpresa genuina, quasi incredula, di qualcuno di noi. Pierluigi ormai è
un personaggio, averlo con noi è un evento.
Luciano M. (il Custode dell’elsa)
- Un incontro speciale
Varie volte ho avuto la ventura di incontrare pellegrini
sulla Via, ma questo è stato un incontro speciale. Tornando in macchina per riprendere gli amici pellegrini
che mi aspettavano a Ponte d’Arbia, al Centro Cresti, incrocio un pellegrino che cammina piano piano a lato della
strada, con uno zaino enorme, visibilmente affaticato, mi fermo qualche centinaio di metri dopo, approfittando
di uno slargo della strada, scendo e sul momento ho un po’ di indecisione: mancano pochi chilometri alla fine della
tappa. Poi vedo che il mio amico fa segno alle auto di fermarsi, come per chiedere un passaggio. Allora ogni dubbio
scompare, questo non me lo faccio scappare !; inversione di marcia e in un attimo sono da lui. Mi accorgo che parla
francese e quindi cerco di sfoderare i miei ricordi. Lui chiede un passaggio ma non lo lascio parlare, gli faccio
capire che per l’appunto sono anch’io un pellegrino, a dispetto dell’auto, e che vado anch’io a Roma, insieme
agli amici che mi aspettano una tappa avanti. Mi racconta in italiano che è di origine piemontese, vive
vicino a Bordeaux ed è partito quella mattina molto presto da Poggibonsi (quindi ha fatto tutto un percorso
in asfalto) ed è molto stanco. E’ partito dalle Alpi molto tempo fa ed è diretto a Roma per il 29
prossimo: proprio come noi !. Gli racconto della nostra esperienza e che lo precediamo di una tappa. Sarebbe bello
potersi riunire, ma non voglio forzare. Chiedo consiglio per telefono alla Monica per sapere dove accompagnarlo
(lui aveva qualche indirizzo, ma non sicuro), lo accompagno dalle Suore dove il giorno prima tutto il gruppo aveva
alloggiato. Penso di essere stato troppo aggressivo e di aver forzato il mio amico a seguirmi, ma quando
vedo la sua espressione all’apertura della porta del convento ogni dubbio si dissolve. Ci salutiamo, un abbraccio,
sorridenti; qualcosa mi dice che non finirà lì.
Il giorno dopo Vittorio ci raggiunge a San Quirico
dopo aver coperto 2 tappe, sia a piedi sia con qualche passaggio. Il gruppo l’accoglie con molta apertura, ed arriveremo
insieme “ad limina petri”. A Vittorio
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