Giuseppe S. - Il giorno più
lungo
Levata antelucana. Alle sei siamo
già nella piazza per la preghiera. C’è un po’ di apprensione per il tragitto di oggi. La guida la
dà come difficile. Già i chilometri da fare sono di tutto rispetto, in più si aggiunge il
dislivello. Radicofani è ad oltre ottocento metri, gli ultimi otto chilometri sono di salita. Col caldo
di questi giorni potrebbe essere faticoso e dopo i primi malanni dell’altro giorno conviene prendere le cose sul
serio. Per esorcizzare le preoccupazioni si parla di Gran Premio della Montagna.
Partiamo con un’arietta ancora
fresca. Camminiamo bene, i primi chilometri sono in discesa da San Quirico e poi di risalita verso Vignoni, su
uno sterrato riposante. Sul profilo dell’orizzonte la rocca di Radicofani è già visibile. E’ il cucuzzolo
più alto, con in cima una torre, talmente lontana da buttarci giù di morale. Vignoni è un
borgo di poche abitazioni attorno a una bella torre. C’è una chiesina aperta. Linee molto essenziali, dentro
e fuori, tutta in pietra come il resto della case e le strette stradine lastricate. L’arco in pietra della porta
di uscita dal paese incornicia la campagna verso Radicofani. Lo stesso scorcio della foto che c’è sulla
guida della Via Francigena. Un bel quadro fiammingo. Ci mettiamo tutti lì a fare la stessa fotografia: la
Rocca sullo sfondo ad almeno 25 Km di distanza incorniciata dall’arco in pietra della porta. Il soggetto è
davvero bello, solo che venisse in foto come vorremmo. A me non succede quasi mai. (…)
Sulla destra, dalla parte dell’Amiata
il cielo è nero e minaccia maltempo. A Gallina ci fermiamo per la colazione. Troppo curioso il nome del
paese. Antonio, il fisioterapista, fa una foto al cartello stradale col telefonino e la spedisce al suo bambino.
Intanto che siamo fermi al bar viene giù qualche goccia di pioggia, ma smette subito. A noi va bene così,
avevamo paura del caldo e invece il tempo è clemente. Non potrebbe andare meglio: le nuvole ci riparano
dal sole, ma ci risparmiano anche dall’acqua. Prima di ripartire dal bar il gestore ci consegna un bordone. L’ha
dimenticato lì un pellegrino passato un mese fa. Allora è vero che i pellegrini ci sono e la Francigena
sta tornando a vivere. Monica si impegna a conservare il bastone e a darne notizia sul sito internet nel caso il
proprietario lo volesse recuperare. Riprendiamo la Via ancor più motivati dopo questo passaggio simbolico
di testimone. Distese sconfinate biondo pallido di avena e grano, filari di cipressi, casolari. I pochi paesi sono
arroccati attorno al loro castello, se ne vedono un paio. Stiamo girando attorno all’Amiata, una macchia verde
scuro di bosco che chiude l’orizzonte. La rocca di Radicofani fa capolino dopo ogni scollinamento, per sparire
subito appena la strada scende il versante opposto.
Finalmente usciamo dalla Cassia. Pace e silenzio su una stradina di campagna in mezzo al niente. Passiamo
da alcuni casolari diroccati. C’è anche una chiesina, dedicata a san Pellegrino. Quel che è rimasto
non dice tanto. Ci sono dei tabelloni con delle spiegazioni. Monica ci ricorda che siamo alle Briccole, qui si
sono fermati re, regine e papi, è un’altra delle tappe citate da Sigerico.
(..) Prendiamo un bel tratturo in mezzo a erbe alte. E’ un posto piacevole, la zona è solitaria per
lungo tratto. Usciamo dal tratturo sulla vecchia Cassia, all’altezza della vecchia casa cantoniera del chilometro
169,938. Siamo a metà del nostro pellegrinaggio. La strada è senza traffico, ci alziamo un po’ alla
volta in un ambiente sempre più imponente. Tanti campi attorno sono di un verde intenso, fioriti di milioni
di fiori bianchi. Colline intere verdi a pois bianchi. Di sopra un cielo sconfinato. E’ il posto giusto per il
rosario.
(..) Dopo un chilometro, a sinistra della Cassia si stacca la strada per Radicofani, gli ultimi famosi otto chilometri
di salita. Mi fermo ad aspettare Maria che è più indietro, qualcuno va avanti. La strada sale adagio
con grandi curve. Se mi giro vedo quelli indietro lontani più in basso. La fila ormai è lunga, stiamo
cercando un posto all’ombra per fare sosta ma la poca ombra è calda come il sole. Troviamo finalmente una
specie di canalino di cemento parallelo alla strada, lungo una ventina di metri, profondo un metro e largo uguale.
Sembra il canale di scolo dell’acqua piovana, una specie di trincea. Sopra qualche pianta si sforza di fare ombra.
Ci fermiamo, e presto diventa curiosa questa fila di quaranta persone che mangiano sedute sui due bordi, a gambe
penzoloni, che si guardano in faccia. Dalle poche macchine che passano, ci guardano incuriositi. Mangiamo in fretta
perchè il posto non è il massimo e un po’ tutti abbiamo voglia di arrivare presto a Radicofani.
Qualcuno inventa una scusa spudorata per lasciarci lì e andare avanti tipo: “Federico ha le vesciche, andiamo
avanti con lui adagio….”. Riprendiamo presto tutti sotto il sole, la strada continua a salire tra spazi distesi.
La rocca comincia finalmente ad apparire più vicina. Il paese è dietro la collina, sopra una zona
di pendii scoscesi, fortemente solcati dai calanchi, coi segni della violenza della natura ben evidenti sui propri
fianchi. La strada la deve prendere alla larga e sale ancora mai troppo ripida. Maria cammina assieme ad Elena,
chiacchierano tra di loro e così vanno spedite e sembrano non sentire la fatica. Le ho subito dietro. Arrivo
al cartello di inizio del paese e c’è già lì Alberto ad aspettare. Siamo ancora in pochi quando
arrivano due camioncini da muratore con degli uomini che ci domandano informazioni. A uno di loro scappa un commento
stupido e volgare. Lo fa in dialetto e forse crede di non essere capito. La tensione sale di colpo. Alberto ha
sentito e capito e risponde duro intanto che si avvicina alla cabina del furgone. L’atteggiamento non è
proprio amichevole. Tanto però basta e chi aveva parlato si mette zitto fino a quando ripartono. Aspettiamo
che arrivino tutti per entrare assieme nel paese con lo stendardo. C’è anche Vittorio, il pellegrino francese.
E’ rimasto con noi e spero che ci resterà fino a Roma. Abbiamo adottato il nostro pellegrino.
La sosta alla fontanella, nel parco fresco e ombreggiato dietro la chiesa si trasforma in un assalto all’acqua.
Poi scendiamo la strada ripida lastricata fino all’uscita opposta al paese, nella parte moderna, dove si sono le
scuole. La palestra è spaziosa, con docce e servizi efficienti, questa notte dormiremo comodi. Stendiamo
i materassini, si fa la doccia e si lavano i panni. Sono momenti calmi di rilassamento, che si godono tanto
più intensamente quanto più faticoso è stato l’arrivarci. Silvia si esibisce in virtuosismi
di twirling con un bastoncino da trekking. E’ brava, scopriamo così che per un po’ di tempo ha fatto parte
della squadra nazionale. Silvia è nuova di quest’anno. Una bella ragazza piemontese solida, che sprizza
energia e voglia di vivere. E’ arrivata con Daniele che invece è un vecchio dei pellegrinaggi anche se giovane
d’età. Uno dei pochi, assieme a noi, a cui tocca prendere le ferie per venire. Anche lui è simpatico
e sempre disponibile. Una bella coppia, che in questi giorni teniamo un po’ tutti affettuosamente sotto protezione
perché facciano sul serio, si sposino e facciano figli.
(..) Alle sei c’è la Messa nella bella chiesa di San Pietro che abbiamo visto venendo qua. Arrivo un po’
tardi perché siamo andati a fare la spesa. Il Parroco si chiama Don Elia, ed è un fervente sostenitore
della Via Francigena, al punto che qui la Confraternita ha presentato in Comune un progetto di ospitale per i pellegrini.
(..) La chiesa è piena di gente. Ci sono degli stendardi appoggiati alle pareti. Questa sera si ripete la
processione del Corpus Domini. Ci viene spiegato che è una tradizione antica, per dare a tutti i parrocchiani,
soprattutto quelli che lavorano lontano, la possibilità di partecipare almeno ad una delle due.
La processione si snoda con un percorso breve nelle vie strette e ripide del paese. Ci sono i gonfaloni portati
da due gruppi di donne, uno vestite di nero e l’altro di chiaro. C’è il baldacchino con i portatori con
l’abito di una qualche Confraternita. Facciamo sosta nella chiesa di S. Agata, anche lei con una bella pala di
Andrea della Robbia. Il giro si conclude nella parrocchiale. Per tutto il tempo si canta in latino. Mi pare di
essere tornato ragazzino, gli stessi canti di allora, storpiati come allora. Eppure le parole mi tornano spontanee
alla memoria come se le avessi sentite appena ieri. In mezzo c’è stato il Concilio, con la messa in volgare
e l’altare rivolto ai fedeli. E con le grandi aspettative di noi laici. Per questo mi viene da domandarmi, in casi
così, quale è il confine tra la fede consapevole e la tradizione. Lo chiedo a me stesso, che sono
così pieno di dubbi e che credo di fare troppe cose perché è uso farle, senza pensarci troppo
su.
Penso anche che forse queste parole storpiate possano non significare nulla per chi le canta. Ma che dicano invece
molto del nostro bisogno di trovare comunque una strada per avvicinarsi al mistero, al non finito e l’eterno. Bisogno
di far sapere a Dio che abbiamo necessità di sapere che c’è, e che lo riconosciamo come Padre misericordioso.
Per questo non mi permetto commenti.
Finita la Messa don Elia ci trattiene in chiesa per una spiegazione dei capolavori Robbiani e non finirebbe più.
Ancora nel piazzale continua a spiegarci della Francigena, di Ghino di Tacco radicofanese insigne, dei problemi
economici e sociali della zona, della rocca rifatta. Possiamo permetterci di tirare in lungo perchè la cena
stasera è al ristorante. Cena ricca, carne e pesce, dall’antipasto al dolce, acqua fresca, dopo una giornata
così calda e vinello traditore. Usciamo che è buio, tutti ben disposti. Si è mosso un venticello
frizzante, che ci ristora tutti dalle scalmane della giornata.
L’aria nitida mostra un bel cielo stellato. Sull’Amiata qualche macchia di luce indica i rari centri abitati, Qualche
altra luce solitaria giù in basso nella valle. Il resto è buio, silenzio, pace. Ancora lucciole nel
prato quando ritiro i panni asciutti.
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