Giuseppe S. - Responsabilità
Mi ritrovo già in piedi prima
delle cinque. La solita scena, si alza il primo, suona una sveglietta,
un altro magari accende la luce e non c’è più verso di dormire. Così alle sette siamo tutti
giù a un bar sulla Cassia a far colazione.
E’ sereno, anche oggi farà caldo. Dopo i primi chilometri di asfalto
si continua sullo sterrato. Sono stradine belle, in mezzo a coltivazioni di noccioli. Facciamo un curioso incontro con uno struzzo spelacchiato dagli occhi spaventati tutto solo dentro
un recinto troppo grande per lui. Ad un fontanile freschissimo riempiamo la borraccia. Continuiamo sul margine
di un campo di golf. Arrivano i
primo segni della città
che si avvicina. Grandi sbancamenti di terra dietro una rete e cartelli dappertutto che fanno pubblicità
ad una grande lottizzazione di ville a schiera. La gente che lavora a
Roma vuole vivere comunque in campagna, ormai siamo a meno di cinquanta chilometri.
Il primo paese che incontriamo è Monterosi.
Nessun segno particolare, ormai è un paesetto di cintura urbana. Appena fuori dal paese dobbiamo affrontare la Cassia. Qui è un’altra ancora, una superstrada a due
corsie per carreggiata con le macchine che sfrecciano via veloci. Per un primo tratto camminiamo contromano sulla
complanare priva di traffico, ma poi diventa inevitabile imboccare le corsie di scorrimento veloce e percorrerle
contromano per almeno un chilometro. Il rischio non è poi troppo rischio, c’è una banchina d’emergenza bella larga e noi possiamo camminare spediti. I camionisti suonano per salutarci, qualche macchina rallenta. Vedere
cinquanta persone, stendardo in testa, incrociarti a piedi su questa specie di autostrada può sicuramente produrre un attimo di sbalordimento. Certo c’è
poca storia in una Francigena che ti porta a percorrere una superstrada contromano, e
nemmeno c’è molto fascino. La rivitalizzazione della Via è ancora un cantiere aperto. Bisogna per
forza trovare delle alternative a tratti come questo, cercarle vicino o crearle apposta.
Mi dicono in Spagna
hanno fatto così, un pezzo
alla volta, un ostacolo in meno alla volta, un tratto nuovo alla volta. Così si è formato in un tempo
abbastanza breve un percorso che adesso è indicato ad esempio in tutta Europa.
Ma per fare ciò occorre che l’interesse per la Via Francigena
si diffonda in maniera
omogenea lungo tutto il percorso.
Finora, camminando, abbiamo osservato una situazione troppo diseguale: l’interesse di alcune comunità, certi tratti ben segnalati, e poi subito dopo l’inerzia e l’abbandono.
Rimontiamo la Cassia verso Roma su è giù per gli svincoli d’uscita, finché finalmente ne veniamo
fuori. Ancora un paio di chilometri di
asfalto prima di prendere a destra
un viottolo in mezzo ai campi che prende a salire verso Campagnano.
E’ una stradina polverosa, afa e caldo si fanno sentire. Recitiamo il rosario, fermandoci alla fine di ogni decina a sfruttare i pochi scampoli di ombra appiccicosa. Troviamo una fontana inaspettata
in mezzo ai campi e ci fermiamo lì a concludere
il rosario. Il caldo è forte, senza cappello si rischia una insolazione.
Siamo giusto fermi
quando Vittorio, il francese
si lascia andare svenuto per terra. Lo rinfreschiamo immediatamente e un po’ alla volta si riprende. Ormai Vittorio
è uno di noi, sappiamo qualcosa di più della sua vita e ciò che ormai conosciamo racconta
di forti dolori e di grandi prove. Si porta
in giro uno zaino pesantissimo, grande e grosso, oggi sembra arrivato a toccare il limite. Per fortuna si riprende presto e nonostante il grande caldo vuole proseguire con noi fino al paese.
(..)
Questa sera don Paolo dice la
Messa nella chiesa principale.
(..)
La chiesa ha un grande soffitto a cassettoni, nel passato deve essere stato splendido.
Tutta la chiesa tradisce un passato di splendori che contrasta violentemente con il tono dimesso e trasandato di
adesso. Di una chiesa queste cose non si dovrebbero osservare, ma saltano all’occhio
e lasciano una sensazione triste nel cuore. In effetti
è tutta la città a suggerire questa impressione, le mura scrostate ma anche la gente con cui ci fermiamo
a parlare. A fianco della chiesa c’è una fontana freschissima, alcuni bambini giocano nella piazzetta e
qualche donna anziana li osserva seduta sulla sedia fuori dall’uscio
di casa. Maria attacca discorso e gli dice della sua impressione sulla
chiesa. Le sollecita a fare qualcosa per ridarle lo splendore di un tempo. Le
donne ci rispondono che loro hanno già troppi problemi, che la loro pensione è misera e che alla
chiesa ci deve pensare il Papa. Forse si ricordano di quando
il Papa era anche il re, da quelle parti. Intanto la polvere
si accumula e i muri si scrostano.
In chiesa la Messa celebrata da don Paolo è accompagnata dai canti del gruppo dei ragazzi. Saranno giusto
una ventina e cantano canzoni nuove. C’è anche l’inno della Via Francigena. E’ bello, ha una melodia che si ricorda facilmente. Finita
la Messa Maria chiede ai ragazzi di cantarla un’altra volta, per impararla
meglio.
La predica di don Paolo è sulla “regola aurea”: chi
fa bene, fa fare il bene. Non basta al cristiano non fare il male. Tocca una riflessione che anche a me capita
di fare spesso. A un cristiano non basta dire: “Che cosa faccio di male?
non uccido, non rubo… sono a posto”. Il cristianesimo non è non fare, al contrario è fare, costruire.
E’ una azione positiva, e quindi per forza consapevole e responsabile,
azione che si vuole. E’
andare incontro, farsi più vicino, farsi prossimo, è accogliere. Altro che inerzia e immobilismo, qui ci vogliono volontà e coraggio
e tanto spirito profetico.
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